Cento anni fa ed esattamente il 18 maggio 1920 nasceva a Wadowice in Polonia Karol Jozef Wojtyla. Eletto papa il 16 ottobre del 1978 con il nome di Giovanni Paolo II, il 1º maggio del 2011 fu proclamato beato dal suo immediato successore Benedetto XVI ; nella storia della Chiesa, non accadeva da circa un millennio che un papa proclamasse beato il proprio immediato predecessore. Il 27 aprile del 2014, insieme a papa Giovanni XXIII, è stato proclamato santo da papa Francesco. Primo papa non italiano dopo 455 anni, cioè dai tempi di Adriano VI , è stato inoltre il primo pontefice polacco della storia e il primo proveniente da un Paese di lingua slava. Il suo pontificato è durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni ed è stato il terzo pontificato più lungo in assoluto, dopo quello di Pio IX e quello tradizionalmente attribuito a Pietro apostolo. Del suo pontificato ricorderemo tante cose ma oggi di fronte alla crisi sociale ed economica mondiale dovuta alla pandemia non possiamo non ricordare il suo pensiero sociale, etico ed economico che ritroviamo caparbiamente nelle sue encicliche. Delle 14 encicliche scritte da lui ben tre ed esattamente la «Laborem exercens» dell’81, la «Sollicitudo Rei Socialis» dell’87 e la «Centesimus Annus» scritta nel ’91 in occasione del centenario della «Rerum novarum» di Leone XIII, fanno riferimento alla dottrina sociale della chiesa, tematica a lui particolarmente cara grazie alle sue esperienze in campo lavorativo. Da giovane seminarista infatti durante la seconda guerra mondiale fu inviato dai tedeschi a lavorare nelle cave di pietra di Zakrzowek, presso Cracovia. Qui imparò ben presto a sue spese che il lavoro manuale era soprattutto fatica fisica. Dall’incontro quotidiano con le persone che lavoravano pesantemente con lui, dalla condivisione del duro lavoro con gli spaccatori di pietra colse il loro valore umano e la loro dignità. Quando poi si recò a Taranto ed incontrò il 28 ottobre del 1989 i lavoratori dell’Ilva, il Papa operaio fece riferimento senza mezze misure a problemi quali l’inquinamento, la tensione sociale e la frammentazione culturale di un lavoro fatto senza più entusiasmo e senza più regole. Il Papa parlava di insopprimibile aspetto etico della questione sociale. «Sono gli uomini, e non i numeri, che contano». Ed ancora: «Promuovere la capacità produttiva di un complesso industriale non è tutto, e non è neanche quello che più conta. Il valore e la grandiosità di un impianto di produzione non devono misurarsi unicamente con criteri di progresso tecnologico e di sola produttività o redditività, ma anche e soprattutto con criteri di servizio all’uomo e di corrispondenza a ciò che la vera dignità del lavoratore richiama ed esige». Giovanni Paolo II aveva parole chiare anche sul nodo-inquinamento, un problema già allora drammaticamente proiettato su una fabbrica che disseminava i suoi veleni senza (o quasi) controllo.” Secondo il papa polacco era necessario che l’ambiente non venisse sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, sarebbe stato l’uomo. Ieri come oggi ci viene da dire che chi ha compiti di responsabilità deve prendere delle decisioni ricordando sempre che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio: «L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (Gaudium et Spes, 63). Trent’anni dopo queste parole sono ancora attualissime.
In questa fase 2 del Covid 19 riguardo a temi come l’attenzione alla persona, ai diritti, alle condizioni e ai problemi legati al mondo del lavoro, all’ambiente e alla famiglia come cattolici come ci poniamo?
MLAC Chieti-Vasto