Il lavoro è una parte importante della vita umana. Esso occupa il nostro tempo e assorbe energie e fatica, è fonte di aspirazioni e di soddisfazioni, di delusioni e di frustrazioni. Ognuno di noi attribuisce un significato diverso al lavoro a seconda delle proprie ambizioni. Anche la società attribuisce al lavoro un valore culturale più o meno elevato. Per cultura del lavoro si intende il clima culturale che accompagna le trasformazioni del mondo del lavoro. Ciò significa che la concezione del lavoro cambia in base al tipo di società nella quale viviamo in un dato momento storico, alla situazione economica e politica e allo sviluppo tecnologico. La cultura del lavoro è, quindi, una dimensione molto complessa. In generale si lavora per sopravvivere, cioè per ottenere i mezzi che sono necessari alla vita umana. In questo senso lavorare è una necessità spesso penosa, perché il bisogno spinge ad accettare qualsiasi lavoro, anche quello poco gratificante. Molti di noi desidererebbero fare altri lavori o preferirebbero non lavorare del tutto piuttosto che fare quel lavoro che sono stati costretti ad accettare. Pochi possono permettersi il lusso di scegliersi il lavoro che desiderano. Fare un lavoro che non piace e non gratifica è percepito come una mortificazione della propria personalità. Ciò significa che dal lavoro non ci aspettiamo soltanto una retribuzione adeguata, ma anche delle soddisfazioni personali. Il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un valore in sé, perché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla società e agli altri e così contribuisce a dar senso alla nostra esistenza.Pertanto, ognuno di noi desidera fare un lavoro che lo realizzi come uomo e che al contempo consenta una vita dignitosa e sicura. Ma quest’ideale raramente si può raggiungere nella sua interezza. Di conseguenza, molti sono insoddisfatti del proprio lavoro, o perché non è gratificante o perché non è remunerativo. Il caso peggiore, purtroppo non raro, è quando il lavoro è in sé mortificante e mal pagato. Un’autentica civiltà del lavoro deve tenere conto di entrambi gli aspetti. Ma per noi cristiani dove trae origine la concezione del lavoro? Sicuramente nella Bibbia. Riportare il passo della Genesi sulla Creazione… Riguardo al lavoro, la Bibbia offre principi di ordine generale. Il lavoro viene accettato e presentato come parte integrante della vita dell’uomo e collocato nella prospettiva del rapporto tra Dio e l’uomo. Il libro della Genesi presenta Jahvè come un dio che lavora e si riposa: in sei giorni crea l’universo, il settimo giorno contempla la perfezione della propria opera. Per l’uomo il lavoro è connaturale: posto da Dio nel giardino, a lui è affidato il compito di custodirlo e coltivarlo. Il lavoro è, dunque, un’attività degna della persona alla quale è chiamata da Dio stesso. Nella Bibbia il lavoro viene presentato come una necessità per l’uomo e va interpretato alla luce di un corretto rapporto con Dio: non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, un valore assoluto, ma rimanere sempre legato alla preghiera e subordinato al giorno del riposo, giorno dedicato esclusivamente al culto di Dio. Nel Nuovo Testamento ritroviamo gli stessi concetti. Il Vangelo mostra Gesù e gli Apostoli che lavorano, affaticandosi sia nel lavoro fisico che nella predicazione e Gesù, anche se non in modo sistematico, affronta spesso i problemi legati al tema del lavoro. Il lavoro non deve essere fonte di affanno e preoccupazione e diventare la cosa più importante della vita. Nella visita a Marta e Maria (Lc 10,38-42) e nel Discorso della Montagna (Mt 6,25-34), Gesù antepone ad un attivismo esagerato l’ascolto della Parola di Dio e all’accumulo dei beni materiali il fiducioso abbandono alla Provvidenza divina. Anche la preghiera del “Padre nostro” riconosce la necessità di non assolutizzare il lavoro e di chiedere al Padre quanto è necessario per vivere. Celebre è, infine, l’affermazione di S. Paolo: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” (2Ts 3,10). Paolo si vanta di aver sempre lavorato con le proprie mani non per accumulare ricchezze, ma per non essere di peso ad alcuno e per ottenere, grazie al lavoro, l’autonomia e la libertà che gli consentono di predicare. Nella comunità cristiana, quindi, il lavoro e il giusto guadagno che ne deriva sono un mezzo, non il fine della vita, e devono aiutare i credenti nella diffusione del Vangelo e nelle opere di carità verso i più bisognosi.
MLAC Chieti-Vasto